La Langa di Pavese: cosa visitare per vivere i luoghi dell’autore

Le Langhe non si perdono, recita un verso di Cesare Pavese, perché se si è cresciuti tra le colline ricoperte di filari in cui si insinua il Belbo, al ritmo delle stagioni, dei falò estivi e delle vendemmie, gli odori e l’esperienza della terra non andranno perduti. Così mi spiego anche la precisione con cui l’autore nelle sue opere tratta le piante, che chiama per nome.

Ho idea che anche chi legga Pavese non perda le Langhe. Quando si legge Lavorare stanca compaiono le colline davanti agli occhi, le loro sagome sotto la luna, le vigne tutt’intorno, le donne che fanno bagni notturni, i pesanti grappoli d’uva e il vino. Quelle immagini restano vivide, come fossero di un paradiso perduto e anche se non abbiamo vissuto quei luoghi si attacca addosso la loro malia, la nostalgia della loro bellezza, il desiderio di ritrovarli. Quando si legge La luna e i falò, allo stesso modo, si entra in confidenza con i nomi dei luoghi e la voglia di visitarli arriva presto: ecco cosa leggere e dove andare per scoprire le Langhe di Cesare Pavese.

Le visite della Fondazione Cesare Pavese

In una piazzetta nascosta, nel centro di Santo Stefano Belbo, si trova la Fondazione dedicata all’autore, dove hanno luogo le visite guidate ad alcuni dei luoghi più significativi.

In attesa della visita, dall’atrio ho sbirciato dentro la piccola ma molto fornita biblioteca, dove trovato una selezione ricca e piuttosto aggiornata e dove ho desiderato fermarmi a leggere sui tavoli accanto alle finestre che si affacciano sulla piazza. Quindi se si ha a disposizione qualche ora in più secondo me è piacevolissimo percorrere gli scaffali e sedersi per la lettura: l’ho vista vuota e tranquilla.

La visita al Museo Pavesiano

La visita comincia dalla chiesa sconsacrata dei santi Giacomo e Cristoforo, cui si accede dalla Fondazione: in questa chiesa dalla navata breve è stato battezzato Pavese e lì comincia il racconto della sua vita. Si sale poi nelle stanza del museo, dove si assiste a una speciale proiezione di brani tratti dalle sue opere su una riproduzione della zona in cui è cresciuto, fatta con la terra delle colline. Si entra subito così nell’immaginario dell’autore, realtà visibili a occhio nudo per chi percorra quei luoghi.

A piedi, ‒ avrei detto a Pieretto ‒, vai veramente in campagna, prendi i sentieri, costeggi le vigne, vedi tutto. C’è la stessa differenza che guardare un’acqua e saltarci dentro.

Per questo passo del Diavolo sulle colline ho pensato sia un’esperienza ancora più vera lasciare l’auto per qualche tempo e percorrere a piedi un sentiero o addentrarsi in una vigna al tramonto, da lì si gode non soltanto della vista dei tralci simmetrici, ma anche del panorama: le Langhe sono fatte di colline sinuose e dovunque si posi lo sguardo si trova bellezza.

Come dicevo, una delle sale del museo è dedicata alla copia dei Dialoghi con Leucò che Pavese portò con sé nella camera d’albergo dove si tolse la vita tra il 26 il 27 agosto 1950; custodito in una teca, è aperto alla pagina in cui l’autore annotò le famose frasi:

Perdono tutti e

a tutti chiedo

perdono.

Va bene?

Non fate troppi

Pettegolezzi

Cesare Pavese

Non è l’unico suo libro in mostra: in altre sale e in altrettante teche, si ammirano classici della letteratura latina, greca e italiana, varie edizioni delle sue opere, volumi di etnologia, lettere, schizzi, e, per i feticisti, persino due delle sue pipe, le penne e gli occhiali da vista.

Nell’ultima sala, invece, si assiste a un’altra proiezione che racconta alcuni episodi della sua vita anche in relazione alla casa editrice Einaudi e alle persone con cui Pavese entrò in contatto, come Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Fernanda Pivano e una di quelle più importanti nella sua formazione: il professore Augusto Monti.

La visita al cimitero di Santo Stefano Belbo e alla tomba di Pavese

Dalle sale suggestive della Fondazione siamo usciti per raggiungere a piedi il cimitero del paese; si lascia velocemente il viale per percorrere una strada dalla quale si ammira il paesaggio ricco di vigne. All’ingresso del cimitero sono state riprodotte le colline amate dall’autore con la terra del luogo, su cui poggia una lunga lapide che recita:

Ho dato poesia agli uomini.

La casa natale dell’autore

E via un altro tratto a piedi che costeggia campi coltivati ad alberi, finché non si attraversa la strada per visitare la casa natale, la villa in cui la famiglia trascorreva il periodo estivo, che affaccia su un giardino spazioso dove ora sorge il busto di Pavese. Mantenere quella casa bella e ariosa costava non poco e così negli anni è passata di proprietario in proprietario: ecco perché i mobili rimasti sono d’epoca, ma non sono quelli originali. Ho comunque ammirato l’ampia sala da pranzo, le sale al primo piano dove si trovano riproduzioni di vecchie lettere e foto, la stanza dei suoi genitori… e dalle finestre la vista forse non è cambiata di molto.

Alla fine della visita sono tornata indietro a comprare un po’ di libri di Pavese, scoprendo che quelli acquistati là possiedono il timbro della Fondazione sul frontespizio e poi ho fatto un giretto tra gli scaffali della biblioteca: Eco, Debenedetti, Lajolo, Manganelli, Levi, Calasso, Cristina Campo, Giovanni Macchia sono solo alcuni titoli trovati nella sala: una ricca miniera di belle edizioni.

La casa di Nuto: il laboratorio di Pinolo Scaglione

Per completare il giro ho raggiunto il laboratorio di quello che è stato uno dei più cari amici di Cesare Pavese: Pinolo Scaglione, cui si ispira il personaggio di Nuto de La luna e i falò. Ho trovato che il laboratorio è diventato museo, ma era chiuso; le lettere dipinte sulla facciata commuovono, ho sbirciato dalle vetrate in legno e ho visto attrezzi, i recipienti in legno per pestare l’uva, vecchi recipienti di latta e parti di strumenti musicali appesi alle pareti, manifesti con foto di Pavese e molto altro. La bottega si trova proprio di fronte alle colline e per un po’ ho immaginato come fosse arrivare a piedi, restare a chiacchierare con Scaglione mentre lavorava, volgere lo sguardo al paesaggio di tanto in tanto, l’odore che c’era.

Cercando materiale su di loro, ho scoperto che a trent’anni dalla morte di Pavese, Davide Lajolo (autore della biografia Il vizio assurdo) e l’artigiano si ritrovano davanti a una telecamera, proprio nel laboratorio, a rievocare il modo in cui Scaglione ha scoperto la morte di Pavese e il tormento che lo ha colto da lì in avanti. Tra i mille oggetti della falegnameria c’erano anche dei libri: Scaglione era un lettore.

La Mora, cascina de La luna e i falò

Non lontana dalla casa di Scaglione, si trova la Mora, in cui l’autore ambienta una parte delle vicende del suo ultimo romanzo; Anguilla, infatti, trascorre alcuni anni in questa cascina dove impara il lavoro nelle vigne e assiste a non pochi avvenimenti ai personaggi che la abitano insieme a lui.

Non è in ottimo stato e non si può visitare, ma il romanzo nutre il nostro immaginario tanto da mettere in moto i ricordi di lettura, quando si percorre il vialetto verso la facciata.

È suggestivo, inoltre, avvicinarsi alla stazione del paese, che ora è chiusa, ma che rappresentava per Pavese un richiamo verso altri luoghi e verso il futuro.

… ma hai ragione. La vita va vissuta lontano dal paese: si profitta e si gode e poi, quando si torna, come me a quarant’anni, si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono.

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